DIGIUNO INTERMITTENTE: per molti, ma non per tutti

La pratica del digiuno intermittente continua a far discutere e a dividere. Come abbiamo visto nell’articolo precedente, questa tecnica può essere declinata secondo diversi protocolli basati su brevi digiuni allo scopo di migliorare lo stato di salute generale. Viene eseguito solo sotto stretto controllo del medico e, pertanto, non ha niente a che vedere con alcuna forma di digiuno ascetico.

Molti studi sostengono che brevi parentesi di digiuno, alternati a fasi in cui il cibo viene consumato liberamente, possano simulare con una certa precisione le condizioni alla base del percorso evolutivo della specie umana.

I benefici di questa pratica sono numerosi. Innanzitutto favorisce un’immediata riduzione della massa grassa e del peso corporeo. Se il digiuno non supera le 72 ore, non vi sono rischi per la massa magra poiché l’organismo utilizza il grasso come principale fonte di energia attingendo alle scorte di trigliceridi del tessuto adiposo, e non alle proteine che costituiscono il muscolo.

Si è visto inoltre che il digiuno intermittente aiuta a combattere l’insulino-resistenza, una delle principali cause di obesità e sovrappeso: stabilizza i livelli di glucosio nel sangue e migliora la sensibilità all’insulina. Per questo è un protocollo indicato anche nella prevenzione del diabete di tipo II. 

Gli studi condotti fino ad oggi evidenziano anche un miglioramento del profilo lipidico nel sangue: diminuzione del colesterolo “cattivo” (LDL) e riduzione dei trigliceridi. Questi due parametri, quando superano i valori fisiologici, costituiscono un fattore di rischio rispettivamente per lo sviluppo delle malattie cardiovascolari e della sindrome metabolica, correlata all’insulino-resistenza.

Gli effetti benefici riguardano anche il miglioramento degli stati infiammatori cronici, alla base di molte malattie autoimmuni e neurodegenerative. Alcuni studi hanno infatti dimostrato che dopo 8 settimane, i pazienti sottoposti a digiuno intermittente hanno riportato livelli di stress ossidativo più basso e una riduzione del danno a carico del DNA. La scienza infatti sta valutando l’utilizzo di questi protocolli nella prevenzione e nel trattamento di alcune malattie come il morbo di Alzheimer.

Questa pratica inoltre promuove il rinnovamento cellulare: in presenza di una minaccia, come un temporaneo deficit calorico, l’organismo per sopravvivere attua dei meccanismi di difesa per proteggersi da eventuali danni, eliminare le cellule danneggiate e rigenerarsi. Il miglior turnover cellulare, da una parte, l’effetto protettivo nei confronti dei danni causati alle cellule dall’invecchiamento, dall’altra, contribuiscono a rendere l’organismo più forte e longevo, aumentando l’aspettativa di vita.

Infine diversi studi sul mondo animale hanno evidenziato una minor incidenza di determinati tumori. Nonostante al momento non esistano ancora ricerche condotte sull’uomo, i risultati finora raccolti lasciano supporre un possibile effetto del digiuno intermittente su alcuni fattori di rischio per diverse patologie oncologiche.

Sebbene gli effetti positivi siano numerosi, è bene sottolineare che non tutti possono praticare il digiuno intermittente. Anche nei soggetti sani, soprattutto in fase iniziale, possono verificarsi disturbi del sonno, irritabilità, ansia, disidratazione e sonnolenza diurna. Per questa ragione deve essere necessariamente eseguito sotto il controllo di un medico, per verificare l’idoneità del paziente ed evitare pericolosi scompensi elettrolitici.

Si tratta di uno strumento dalle notevoli potenzialità, se maneggiato con scienza e coscienza da professionisti esperti. L’improvvisazione non è mai una buona scelta!