DIETA FODMAP: come convivere con la Sindrome dell’Intestino Irritabile

La Sindrome dell’Intestino Irritabile (IBS), o colon irritabile, è un disturbo che colpisce moltissime persone e si manifesta con crampi e dolori addominali, meteorismo e alternanza di diarrea e/o stitichezza. Questa fastidiosa sintomatologia può essere gestita e in buona sostanza curata, eliminando dalla propria dieta i cosiddetti “zuccheri fermentabili”.

Questi zuccheri sono in genere scarsamente assorbibili e vengono fermentati nell’intestino dai batteri del colon provocando gonfiore, gas e dolore addominale tipici della sindrome dell’intestino irritabile, appunto.

La dieta FODMAP riesce ad alleviare questi disturbi nel 75% dei casi.

Si tratta di un protocollo guidato che prevede l’eliminazione dei cosiddetti alimenti FODMAP per circa due/quattro settimane. In questo lasso di tempo, si assiste al progressivo miglioramento dei sintomi dell’infiammazione dell’intestino fino alla loro scomparsa, nella maggior parte dei casi. Successivamente, quindi, si reintroducono tutti gli alimenti gradualmente: un gruppo a settimana – monitorando i sintomi con un un diario alimentare.

Vediamo nel dettaglio ciascuna lettera dell’acronimo inglese FODMAP a cosa corrisponde:

F come FERMENTABILE – La fermentazione è quel processo di trasformazione degli alimenti che non vengono assorbiti dal nostro intestino e diventano nutrimento per i batteri che popolano il colon. Questo fenomeno causa una serie di fastidi come gonfiore, dolore, flatulenza e tensione addominale. Si è visto che soprattutto alcuni tipi di zuccheri possono peggiorare questa sintomatologia.

O come OLIGOSACCARIDI – Tra gli oligosaccaridi individuiamo fruttani e galattoligosaccaridi (GOS). I fruttani sono catene di fruttosio, lo zucchero presente nella frutta, che non sono digeribili per gli esseri umani. Sono scarsamente assorbiti nell’intestino e arrivano al 99% nel colon, dove i batteri li scompongono generando fermentazione. Sono contenuti soprattutto negli asparagi, nell’erba cipollina e nella cipolla, nell’aglio, nel cavolo cappuccio e nella cicoria. I galattoligosaccaridi invece sono presenti nella buccia dei legumi, come fagioli, ceci, lenticchie, fave, e aumentano l’irritabilità del colon.

D come DISACCARIDI (es. lattosio) – La sindrome del colon irritabile spesso è accompagnata dalla carenza di lattasi, l’enzima indispensabile per la digestione del lattosio. Tuttavia anche i soggetti con colon irritabile hanno una tolleranza di 6 g di lattosio al giorno circa, che corrispondono perlopiù a 125 ml di latte. Quindi è bene limitare il consumo di latte e latticini, preferendo i formaggi a pasta dura e lunga stagionatura (come parmigiano o grana 24-36 mesi) ove il lattosio è quasi del tutto fermentato, o come nel Brie e Camembert, che, nel loro processo produttivo, subiscono già passaggi di fermentazione.

M come MONOSACCARIDI (es. fruttosio) – Molti lamentano un’antipatica sensazione di gonfiore dopo aver mangiato la frutta fresca, questo perché un terzo della popolazione non assorbe correttamente il fruttosio. Innanzitutto è importante moderare il consumo di frutta, suddividendolo in 2-3 porzioni nell’arco della giornata. Meglio evitare mango, banana, mela e pera, che, in presenza di sindrome del colon irritabile, andrebbero consumate previa cottura. Anche il miele e lo sciroppo d’acero sono da usare con parsimonia poiché hanno una percentuale di fruttosio molto elevata.

P come POLIOLI (sorbitolo, mannitolo, xilitolo, maltitolo etc.) – I polioli sono tutti quei dolcificanti a basso contenuto calorico, che non sono assorbibili dal nostro intestino e molto difficili da digerire per gli enzimi digestivi. Se assunti in elevate quantità possono causando gonfiore, gas, dolore addominale caratteristico della Sindrome dell’Intestino Irritabile (o colon irritabile o IBS) e, in alcuni casi, diarrea.

La dieta FODMAP è un protocollo efficace e funzionale, volto a migliorare la qualità della vita dei pazienti che soffrono di Sindrome dell’Intestino Irritabile e di infiammazioni intestinali croniche. Naturalmente è bene evitare il “fai da te” e rivolgersi ad un medico esperto, in grado di elaborare un protocollo su misura per evitare carenze e massimizzarne i benefici.

Non dimentichiamo che “Il cibo che mangi può essere o la più sana e potente forma di medicina o la più lenta forma di veleno.”

FIBROMIALGIA e ipotiroidismo: due facce della stessa medaglia

La fibromialgia è una malattia cronica caratterizzata da un dolore muscoloscheletrico diffuso, accompagnato da diversi altri sintomi fastidiosi e spesso invalidanti. Colpisce soprattutto la popolazione femminile, con un rapporto di 8 a 1, e si manifesta prevalentemente in soggetti tra i 20 e i 50 anni.

Il dolore muscolare cronico è il campanello d’allarme più indicativo: la fibromialgia si contraddistingue per la presenza di circa 18 punti dolenti situati in diverse parti del corpo, chiamati tender points. Oltre al dolore, i sintomi più comuni sono: stanchezza cronica; difficoltà di concentrazione; perdita della memoria e confusione mentale; mal di testa ricorrente; sbalzi dell’umore fino ad arrivare alla depressione; insonnia; tachicardia; rigidità mattutina e colon irritabile.

Le cause della fibromialgia non sono ancora del tutto chiare, ma è evidente che la maggior parte dei sintomi della fibromialgia coincidono con quelli dell’ipotiroidismo. Inoltre diversi studi hanno evidenziato che circa il 50-60% dei pazienti che soffrono di fibromialgia sono anche ipotiroidei. Dal momento che la correlazione tra queste due problematiche risultava palese, gli studi si sono concentrati nell’analizzare quale fosse il loro rapporto di subordinazione. Si è visto che, somministrando ai pazienti fibromialgici l’ormone tiroideo, le loro condizioni generali miglioravano sensibilmente. A fronte di queste evidenze cliniche si è concluso che l’ipotiroidismo è un fattore di rischio per lo sviluppo della fibromialgia. Inoltre, poichè spesso risulta difficile diagnosticare l’ipotiroidismo a causa di una sintomatologia piuttosto varia e spesso sottovalutata, è probabile che la percentuale di pazienti fibromialgici e anche ipotiroidei sia ancora più elevata e che la fibromialgia derivi proprio da un ipotiroidismo trascurato o non trattato in modo adeguato.

Al momento non esistono esami certi per diagnosticarla né cure per guarire, ma è possibile imparare a tenerla sotto controllo grazie ad uno stile di vita sano e ad un’alimentazione corretta.

Ad esempio, una dieta ricca di zuccheri favorisce i processi infiammatori e il peggioramento dei sintomi; chi soffre di questo disturbo dovrebbe limitare il consumo di pane e pasta, zuccheri semplici e raffinati in favore di alimenti a basso indice glicemico e ricchi di fibre. Anche l’eccessivo utilizzo di grassi, soprattutto di originale animale, e carni rosse contribuiscono all’aggravarsi del dolore cronico.

Via libera invece agli alimenti integrali, al pesce, alle carni bianche, ai legumi e agli ortaggi. In questo caso, il mantenimento del peso forma è fondamentale: alcuni studi hanno evidenziato un picco di incidenza della fibromialgia tra le persone in sovrappeso. Il grasso infatti favorisce l’aumento dei radicali liberi, responsabili degli stati infiammatori che causano dolori diffusi e un precoce invecchiamento cellulare.

Inoltre, i chili di troppo gravano sull’apparato muscoloscheletrico aumentando così i dolori a carico delle articolazioni.

Una moderata ma costante attività fisica volta al ricondizionamento muscolare sicuramente può giovare. Si consigliano attività aerobiche blande ma prolungate, alternate magari ad esercizi di stretching, pilates o yoga per alleggerire le tensioni e favorire l’allungamento dei muscoli.

Dedicarsi del tempo, prendere le distanze dallo stress quotidiano, concedersi un massaggio sono piccoli gesti che sicuramente non sconfiggeranno del tutto il dolore, ma di certo risultano utili a ritrovare la percezione del proprio corpo e il benessere psicofisico.