Acido o Alcalino? Come preservare il naturale equilibrio

Alimentazione, stile di vita, stress, infezioni e inquinamento sono tra i principali fattori che influenzano in modo diretto l’equilibrio acido-alcalino, ovvero il risultato di una serie di reazioni chimico-fisiche che avvengono all’interno dell’organismo.

L’equilibrio acido-alcalino ideale è compreso in un intervallo relativamente ristretto: un livello di pH nel sangue superiore a 7 (tra 7,32 e 7,42); un livello di pH delle urine tra 6.5 e 7.2. Se i fattori che influenzano il metabolismo rimangono nei limiti fisiologici, la capacità di compensazione del sistema è in equilibrio e l’organismo rimane in salute. Se invece la capacità di compensazione è alterata (eccessivamente alcalina o eccessivamente acida), il sistema si scompensa e manifesta questo squilibrio con alcuni sintomi oppure vere e proprie malattie: acidità di stomaco, disturbi nella digestione, infiammazioni, febbre, dolori articolari, allergie.

Bisogna ricordare che i ritmi e le abitudini della vita moderna (ambiente, dieta, stress, consumo di farmaci, ecc.) portano più facilmente il nostro sistema metabolico verso l’acidosi. Di conseguenza l’organismo, che solitamente necessita di un pH leggermente alcalino per svolgere le sue funzioni vitali, si trova continuamente a dover contrastare questa condizione di acidosi espellendo gli acidi attraverso i polmoni, i reni e la pelle, ricorrendo anche ai sali minerali alcalinizzanti presenti nel cibo e nell’acqua (calcio, potassio, sodio, magnesio).

Ecco dunque che il mantenimento di un buon equilibrio acido-alcalino è fondamentale, soprattutto per chi fa medicina potenziativa e per coloro che seguono un percorso di nutrizione consapevole. Come sappiamo, in natura il mantenimento dell’equilibrio è dato dalla continua interazione tra condizioni opposte. Pertanto seguire una dieta sana non significa certo nutrirsi solo ed esclusivamente di alimenti alcalinizzanti, ma piuttosto cercare di raggiungere un buon equilibrio fra i due elementi opposti, l’acido e l’alcalino.

Tuttavia, come già sottolineato, i ritmi di vita frenetici, un’alimentazione disordinata, l’inquinamento ambientale, uno stile di vita sedentario e il consumo di alcol e farmaci spingono spesso il nostro organismo verso l’acidosi. Quindi per mantenere o ristabilire il corretto equilibrio acido-base vanno adottate misure alimentari corrette, come l’apporto di una maggiore quantità di cibi alcalini e un salutare stile di vita, nel quale dare spazio a movimento regolare, riposo e sonno adeguati.

Gli alimenti vengono classificati come acidificanti o alcalinizzanti in base all’impatto che hanno sul corpo e non in base al sapore più o meno acido. Sono considerati alcalinizzanti quegli alimenti che, una volta metabolizzati, rilasciano un residuo alcalino come frutta (compresa l’uva e gli agrumi), verdura, alghe e il sale, grazie al suo contenuto di sodio.

Sono invece definiti acidificanti quegli alimenti che, una volta metabolizzati, lasciano residui acidi, come l’acido solforico, fosforico o cloridrico. Tra gli alimenti acidificanti figurano la farina e i cereali, soprattutto quelli raffinati e quindi poveri di minerali, lo zucchero, i grassi e le proteine di origine animale. Si raccomanda infatti di accompagnare il consumo di questi alimenti ad abbondanti quantità di verdura fresca o di frutta (alcalinizzanti).

In definitiva, una dieta equilibrata dal punto di vista acido-alcalino si deve integrare con uno stile di vita sano. Un’adeguata idratazione per favorire l’eliminazione delle scorie ad opera dei reni; una costante attività fisica, preferibilmente di tipo aerobico a bassa intensità per facilitare l’eliminazione delle sostanze acide attraverso i polmoni; dormire circa 8 ore a notte per bilanciare lo stress cui la quotidianità ci sottopone e supportare l’attività del fegato, filtro anti-tossine del nostro corpo, con decotti specifici, per esempio, a base di Tarassaco, sono piccoli accorgimenti che possono aiutarci a mantenere un buon equilibrio acido-alcalino.

 

YOGA: il tuo amico del cuore

Sono ormai noti i numerosi benefici dell’attività aerobica per il miglioramento del quadro cardiovascolare e prevenzione dello sviluppo di patologie circolatorie. Ma oggi i riflettori sono puntati su un’altra disciplina, che si sta facendo spazio nel mondo del wellness: lo yoga.

Sono sempre più numerose le pubblicazioni scientifiche che illustrano gli effetti positivi di questa antica disciplina, originaria dell’India, sul corpo e sulla psiche.

Lo yoga, associato alle tradizionali e imprescindibili terapie mediche, sta infatti diventando uno strumento per prevenire e contrastare le malattie cardiovascolari, come l’ipertensione e l’aterosclerosi.

Gli esercizi di yoga, infatti, intervengono in modo diretto sul sistema neurovegetativo, in quanto essi limitano l’attività del sistema nervoso simpatico e, al tempo stesso, favoriscono quella del sistema parasimpatico: il primo tende a far alzare la frequenza del respiro e del battito cardiaco, mentre il secondo ha effetti opposti. Il risultato è una riduzione della pressione e uno stato di rilassatezza generale in tutto l’organismo.

Lo stress, legato ai ritmi frenetici che la vita moderna e il lavoro ci impongono, l’ansia e la depressione sono correlati all’aumento delle malattie cardiovascolari. Queste condizioni di affaticamento psicofisico spesso si protraggono nel tempo fino a cronicizzarsi, predisponendo il nostro organismo alle infiammazioni e favorendo l’aumento della pressione sanguigna.

Lo yoga può proprio aiutare a frenare la risposta del corpo allo stress, attraverso la respirazione profonda e il rilassamento. Inoltre, coltivare la consapevolezza anche attraverso la meditazione spesso innesca un meccanismo virtuoso che incoraggia altri comportamenti salutari di autocoscienza a cura di sé, come seguire una corretta alimentazione e praticare regolarmente attività fisica.

In particolare, uno studio condotto negli Stati Uniti ha provato che lo yoga può ridurre i fattori di rischio cardiovascolare. Preso un campione di individui, sono stati divisi in due gruppi: il primo ha praticato regolarmente lo yoga, il secondo non ha svolto nessun esercizio fisico. Si è visto che nei soggetti che praticavano lo yoga c’era un notevole miglioramento dei parametri cardiometabolici: riduzione del colesterolo totale e miglioramento della pressione sanguigna.

Questi benefici si estendono anche alle persone che presentano già malattie cardiache.  Ad esempio, un altro studio ha evidenziato che tra i pazienti con fibrillazione atriale parossistica praticare 12 settimane di yoga, allenando la respirazione in modo profondo, ha favorito la diminuzione delle aritmie, l’abbassamento della pressione sanguigna e un miglioramento del benessere generale.

Spesso associato alle immagini dei praticanti flessuosi e di pose plastiche, lo yoga è quindi molto più di un semplice stretching: è il nostro amico del cuore.

 

 

 

Microbioma intestinale: i fattori esterni che lo influenzano

Il microbioma intestinale, come un’impronta digitale diversa per ciascun individuo, ci accompagna per tutta la vita. Eppure la sua evoluzione è influenzata da numerosi fattori esterni. Tutto ha inizio con il parto. Nel grembo materno il neonato è sprovvisto di microbi. È al momento della nascita che, per la prima volta, entra in contatto con questi microrganismi. Il tipo di parto influisce sulla tipologia di batteri che popoleranno l’organismo del bambino.
Con il parto naturale, i primi batteri con cui il neonato entrerà in contatto sono quelli della flora batterica genitale della madre, che gli forniranno sin da subito la capacità di metabolizzare il latte materno e sviluppare buone difese immunitarie. Mentre con il parto cesareo, la prima flora batterica con cui il neonato entra in contatto è quella della cute della madre, ragione per cui è più probabile che il bambino possa avere problemi digestivi o essere più carente di difese immunitarie.

Nelle fasi di vita successive, l’allattamento ricopre un ruolo determinante nella formazione del microbioma. I bambini allattati al seno, in un arco di tempo compreso tra i 6 e i 12 mesi, entrano in contatto con i batteri presenti sia sulla pelle della madre sia nel latte, sviluppando così un microbioma ricco di batteri “buoni” e perfettamente in grado di esercitare un effetto barriera verso i batteri patogeni. Nei due/tre anni di vita successivi, il microbioma del bambino continuerà ad evolversi in risposta ai diversi stimoli cui verrà sottoposto dall’ambiente che lo circonda.

Anche l’uso prolungato e ripetuto di antibiotici può incidere negativamente sulla composizione del nostro microbioma, riducendone la biodiversità e impoverendone la popolazione probiotica soprattutto nella prima fase del suo sviluppo (i primi due-tre anni di vita) e anche in età adulta.

Inoltre, esiste una strettissima correlazione tra alimentazione e microbioma. Una dieta corretta è alla base del benessere del microbioma intestinale. Per esempio, i regimi alimentari dei paesi industrializzati (caratterizzati da cibi ad alto contenuto calorico, ricchi di zuccheri e grassi e carenti di fibre, per l’assunzione di poca frutta, cereali integrali e verdure), possono alterare il microbioma. Poiché ne riducono la biodiversità e compromettono la funzione di barriera protettiva intestinale, favoriscono l’insorgenza di processi infiammatori. Numerosi studi scientifici dimostrano come un microbioma in salute possa essere utile nella prevenzione delle malattie tipiche dell’invecchiamento.

Anche una corretta idratazione è alla base del buon funzionamento del nostro intestino. Questo perché l’organismo umano è costituito per il 50-70% di acqua e, dal punto di vista della fisica quantistica, ben il 98% delle molecole del nostro corpo sono molecole di acqua. Allo stesso modo, l’attività fisica può migliorare la funzionalità del microbioma intestinale, purché sia costante e di moderata intensità (lo sport agonistico, invece, può essere dannoso per il nostro microbiota intestinale).

Per la sua componente nervosa, l’intestino è noto anche come “secondo cervello”. Ecco che allora, lo stress cronico ha effetti negativi sul microbioma, causando disordini intestinali di vario tipo, come la sindrome del colon irritabile.

E così che una parte interna del nostro organismo come il microbioma intestinale, può essere influenzato da fattori esterni.