DIETA CHETOGENICA: 3 fasi per dire addio ai chili in eccesso!

La dieta chetogenica o VLCKD (very low calory ketogenic diet) deve il suo successo ad un mix di fattori che la rendono efficace e facile da seguire. Permette di perdere 1.5-2 kg circa a settimana, garantendo il raggiungimento del peso desiderato in tempi più brevi rispetto alle diete tradizionali. Un riscontro così gratificante sulla bilancia contribuisce a motivare il paziente nel suo percorso di dimagrimento, grazie anche all’effetto euforizzante dei corpi chetonici, che inibiscono il senso di fame dopo sole 48-72 ore. È proprio sul meccanismo della chetosi che si basa questo programma che favorisce una perdita di peso quasi totalmente a carico del tessuto adiposo, preservando la massa magra grazie all’introduzione di proteine ad alto valore biologico.

Si tratta di un protocollo di transizione per dimagrire e rieducare il metabolismo ad un buon funzionamento in modo tale che, una volta raggiunto il proprio peso forma, si possa tornare ad uno stile alimentare corretto e non alle vecchie “cattive” abitudini. Per questo la dieta chetogenica si compone di 3 fasi, ciascuna delle quali con degli obiettivi intermedi da raggiungere.

La prima fase consiste nella sostituzione dei pasti con degli integratori proteici, dai gusti assortiti sia nel dolce sia nel salato. Questo semplifica la gestione quotidiana della dieta anche fuori casa, facilitando l’aderenza al programma e soddisfacendo il palato del paziente. In questa fase che, generalmente dura dai 14 ai 21 giorni, si raggiunge e mantiene lo stato di chetosi. I corpi chetonici contribuiscono alla scomparsa del senso di fame e, in assenza di zuccheri, l’organismo brucia i grassi convertendoli in fonte di energia.

La seconda fase, che porterà al raggiungimento del peso desiderato, prevede la graduale introduzione delle fonti proteiche tradizionali. Quindi in uno solo dei pasti principali, a discrezione del paziente, sarà possibile consumare alimenti proteici come carne, uova o pesce. Anche in questa fase, così come nella precedente, è consentito assumere delle verdure a basso indice glicemico e piccole quantità di olio crudo per il condimento.

La terza fase, detta anche fase di transizione, è particolarmente delicata: mira alla stabilizzazione e al mantenimento del peso raggiunto. Nel corso di questa fase inizia la reintroduzione graduale e controllata dei carboidrati. Di solito vengono inseriti prima i carboidrati semplici, come frutta e verdura, per poi passare a quelli complessi come cereali, pane e legumi. Lo scopo di questo step è rieducare le proprie abitudini per acquisire uno stile alimentare sano e variato, basato su un corretto bilanciamento dei vari nutrienti: carboidrati, proteine e grassi. È il momento giusto per riscoprire il benessere psicofisico che deriva da un leggero ma regolare esercizio fisico, compagno di viaggio per non incorrere in ricadute e non recuperare i chili persi.

 

DIETA CHETOGENICA: molto più di una dieta, un protocollo terapeutico

Spesso dibattuta, la dieta chetogenica è uno strumento dalle numerose potenzialità: impiegata nel dimagrimento, ma anche nel trattamento di disordini metabolici come il diabete di tipo II, le dislipidemie e le malattie cardiovascolari.

Questo particolare regime alimentare basa la sua efficacia sulla capacità del nostro organismo di utilizzare le riserve di grasso come primaria fonte di energia quando diminuisce la disponibilità di glucosio. La dieta chetogenica infatti si articola fondamentalmente su due principi: la riduzione drastica del consumo di carboidrati e la restrizione calorica, che solitamente si attesta intorno alle 800/900 kcal. Erroneamente viene spesso confusa con una dieta iperproteica e dall’elevato tenore di grassi animali. In realtà non è affatto così: si tratta piuttosto di una dieta ipocalorica in cui la quota proteica, che deve avere preferibilmente un alto valore biologico, viene mantenuta entro livelli fisiologici per preservare la massa muscolare.

È così possibile ottenere non soltanto una perdita di peso, ma raggiungere un dimagrimento effettivo a carico della massa grassa e non di quella magra, che invece non viene intaccata. Per sopperire alla mancanza di zucchero, grazie ad un processo di beta-ossidazione, il fegato produce delle molecole chiamate chetoni. Tali sostanze hanno un effetto euforizzante in grado di contrastare la sensazione di stanchezza e inibire la fame, che generalmente scompare dopo il 2°-3°giorno permettendo, nella maggior parte dei casi, di portare a termine la dieta con successo.

Naturalmente, come tutte le diete, anche la dieta chetogenica deve essere effettuata su indicazione del medico che personalizza il protocollo in base alle esigenze del paziente e deve essere seguita solo per brevi periodi. In linea di massima, la quota proteica corrisponde a 1-1,5 gr per kg di peso corporeo e oscilla tra i 50 e i 120 gr giornalieri. Mentre l’apporto di grassi è compreso tra i 20 e i 60 gr. Sono da preferire i cibi contenenti grassi insaturi come l’olio extravergine di oliva, la frutta secca e il pesce; mentre è opportuno limitare il consumo di carni grasse, formaggi stagionati e insaccati.

Occorre inoltre sfatare la leggenda metropolitana secondo la quale durante la dieta chetogenica i carboidrati vengono del tutto eliminati. Solitamente si tende a conservare una quota minima pari a 40-50 gr giornalieri in modo tale da evitare un eccessivo abbassamento del metabolismo basale e scongiurare l’effetto rebound, ossia il recupero di tutti i chili persi.

Grazie alla pluralità di vantaggi che offre, questo tipo di dieta risulta efficace in diverse situazioni. La rapidità dei risultati (si stima un calo medio di 1-1.5 kg a settimana), il mantenimento della massa muscolare e la riduzione del senso di fame rendono la dieta chetogenica particolarmente indicata nei casi di obesità e sovrappeso.

È un valido strumento terapeutico nelle persone affette da malattie metaboliche associate ad insulino-resistenza quali dislipidemie, diabete di tipo II e iperglicemia.

Inoltre, grazie al ridotto apporto di zuccheri, riduce il rischio di sviluppare stati infiammatori cronici, responsabili di patologie come il cancro, malattie muscoloscheletriche e neurodegenerative. Alcuni studi in corso rivelano una possibile applicazione della dieta chetogenica nel trattamento di patologie a carico del sistema nervoso come il Parkinson, grazie ad un abbassamento dei livelli di stress ossidativo, e l’Alzheimer, grazie alla capacità dei corpi chetonici di limitare i danni cellulari.

SINDROME DELL’OVAIO POLICISTICO: la dieta per combattere l’insulino-resistenza

Uno tra i principali sintomi della sindrome dell’ovaio policistico è il sovrappeso, correlato spesso all’insulino-resistenza. L’insulina è un ormone, secreto dal pancreas, che permette il passaggio del glucosio nelle cellule, regolando la sua concentrazione nel sangue. In presenza di insulino-resistenza, le cellule sono meno sensibili all’azione di questo ormone. Di conseguenza le “solite” quantità di insulina non sono più sufficienti per trasportare il glucosio all’interno delle cellule, ma l’organismo è costretto a produrne una maggiore quantità per mantenere costante la glicemia. L’aumento dei livelli di insulina però si accompagna anche ad un aumento del peso corporeo, poiché si tratta di un ormone lipogenico che provoca l’accumulo di tessuto adiposo. Infatti, oltre ad essere la principale causa di infertilità femminile, la sindrome dell’ovaio policistico aumenta il rischio di diabete e di malattie cardiovascolari. Per questo motivo è di fondamentale importanza intervenire sull’insulino-resistenza, a partire da uno stile di vita sano basato su una dieta equilibrata ed una regolare attività fisica.

Perdere almeno il 10% del peso corporeo favorisce il fisiologico equilibrio ormonale e riduce il rischio di malattie metaboliche. Molti studi dimostrano che nelle donne insulino-resistenti, a parità di calorie fornite, risulta più efficace una dieta iperproteica rispetto ad una normoproteica. Grazie al ridotto apporto di zuccheri, le diete iperproteiche o chetogeniche favoriscono la perdita di massa grassa e l’incremento di massa magra, aumentando il metabolismo basale e preservando il tono muscolare. Per mantenere l’insulina bassa e costante è bene “mangiare poco e spesso”: dividere il fabbisogno calorico della giornata in 5 o 6 piccoli pasti, composti da alimenti a basso indice glicemico (IG). Meglio evitare gli zuccheri raffinati, optando invece per i cereali integrali come segale, orzo e avena che, grazie all’elevato tenore di fibre, rallentano l’assorbimento dei nutrienti e contribuiscono a regolare i livelli della glicemia. Anche la modalità di cottura incide sull’indice glicemico degli alimenti: le alte temperature della frittura o della brace innalzano l’IG dei cibi; mentre la bollitura o il vapore, decisamente più salutari, lo abbassano.

Per difendersi dal colesterolo “cattivo” è bene evitare il consumo di grassi, soprattutto quelli saturi e idrogenati: prestando attenzione non soltanto ai condimenti, ma anche ai grassi presenti naturalmente negli alimenti. È bene quindi limitare il consumo di formaggi, uova, insaccati e carne rossa, optando piuttosto per le carni magre, preferibilmente bianche. Via libera al pesce, in particolare quello azzurro, ricco di omega 3 e omega 6 che svolgono un’importante azione antinfiammatoria e riducono il rischio di malattie cardiovascolari.

In tavola non devono mai mancare frutta e verdura fresche di stagione, che garantiscono un prezioso apporto di antiossidanti, vitamine, sali minerali e fibre. Da bere sotto forma di centrifugati o da gustare come spuntino, depurano l’organismo e favoriscono il senso di sazietà in poche calorie. Eliminare il fumo e ridurre il consumo di alcol sono abitudini salutari, raccomandate sempre e comunque nell’ottica di uno stile di vita sano. Così come una regolare attività fisica: è sufficiente praticare 35 minuti al giorno di attività aerobica come la camminata, la corsa o il nuoto per ridurre i livelli di colesterolo e di insulina, favorire il mantenimento del peso forma e migliorare la funzionalità ovarica.

Come diceva Einstein ,“stupidità significa fare e rifare la stessa cosa aspettandosi risultati diversi”. Non è mai facile abbandonare le proprie abitudini, pur nella consapevolezza che sono scorrette, ma alle volte è necessario per percorrere la strada verso il benessere.

 

NUTRIGENETICA: la dieta perfetta? Chiedila al tuo DNA.

Se ogni individuo possiede un DNA unico che lo identifica, allora esiste l’alimentazione perfetta per ciascuno di noi? La nutrigenetica si occupa appunto di fornire una risposta a questa domanda.

Ciascun individuo possiede al suo interno un manuale di istruzioni per il corretto funzionamento dell’organismo, chiamato DNA e scritto da oltre 30.000 geni. Ognuno ha il proprio e non esistono “doppioni”. Gli esseri umani condividono il 99,9% del loro patrimonio genetico, che li rende abbastanza simili nelle caratteristiche fisiche. Ma è proprio in quello 0,1% che si riassume l’unicità dell’individuo. Queste peculiarità genetiche dunque determinano una risposta diversa da persona a persona davanti all’assunzione del medesimo alimento. L’obiettivo della nutrigenetica è elaborare una dieta personalizzata sulla base dello studio del DNA, facilmente eseguibile grazie ad un campione di saliva prelevato con un tampone orale. I nostri geni dunque sanno esattamente qual è la dieta giusta per noi: quali sono i cibi funzionali al benessere dell’organismo e quali invece sono nocivi.

Tuttavia il DNA non è da considerarsi come l’artefice di un destino ineluttabile. Infatti lo sviluppo dell’individuo non è condizionato soltanto dal suo patrimonio genetico (genotipo), ma anche dalla sua interazione con l’ambiente, ossia dall’epigenetica. Questa dunque è un’ottima notizia, che non lascia spazio a scuse. Anche se non abbiamo la possibilità di modificare il DNA con cui nasciamo, possiamo però intervenire sul nostro stile di vita per ritrovare il benessere e prevenire l’insorgere di diverse patologie dall’Alzheimer ai tumori, dalle malattie cardiovascolari a quelle metaboliche.

Conoscere il proprio DNA infatti permette di sviluppare degli interventi nutrizionali mirati a partire dal genotipo del singolo per raggiungere gli obiettivi di salute e prevenzione. Si è visto che alcuni alimenti sono in grado di accendere e spegnere in modo esclusivo determinati interruttori, ossia i geni. Naturalmente i recettori coinvolti e gli alimenti interessati variano da persona a persona. Solo attraverso lo studio del DNA è possibile individuare per ciascuno quali alimenti hanno la capacità di attivare e potenziare il corretto funzionamento dei geni e quali invece sono dannosi. Di conseguenza, se sappiamo esattamente quali “pulsanti” schiacciare, attraverso la dieta possiamo stimolare i “geni del benessere”. Diversamente, ignorando questo potente meccanismo e commettendo scelte alimentari scorrette, rischiamo di disattivare questi recettori e compromettere i meccanismi di autoriparazione del DNA: un circolo vizioso che porta ad un invecchiamento precoce, allo sviluppo di processi infiammatori e di malattie croniche.

Il GENODIET® System è un protocollo altamente innovativo che permette di elaborare programmi alimentari specifici sulla base di test genetici complementari.

Il GENODIET® Health analizza le principali vie metaboliche: colesterolo, predisposizione a iperglicemia e insulino-resistenza, vitamina D, calcio e magnesio, vitamina B9 e B12. Inoltre permette di valutare lo stato antiossidante e di infiammazione cronica.

Il GENODIET® Sensor esamina le principali intolleranze alimentari di origine genetica (come lattosio e glutine) e le sensibilità a sale, ferro, nichel, caffeina e alcol.

Infine il GENODIET® Slim fornisce indicazioni precise sulla sensibilità del proprio organismo ai carboidrati, ai diversi tipi di grassi e alle proteine.

Nessuno ti conosce bene come i tuoi geni: la dieta perfetta per te è già scritta nel tuo DNA!

 

La longevità si conquista anche a tavola!

La longevità si conquista anche a tavola! Ormai è dimostrato da diversi studi che lo stile alimentare, oltre che l’essere in possesso di un corredo genetico favorevole e praticare una moderata attività fisica quotidiana, allunga la vita in salute.

Esistono delle aree nel mondo, definite blue zones, tra cui l’Ogliastra in Sardegna, l’isola di Ikaria in Grecia, Okinawa in Giappone, la penisola di Nicoya in Costa Rica e Loma Linda in California, dove gli abitanti vivono più a lungo della media e il numero di centenari è sorprendentemente alto.

Le caratteristiche alimentari comuni di queste popolazioni sono il mangiare poche proteine animali (carne per intenderci), qualche porzione di pesce a settimana nelle aree che affacciano sul mare (soprattutto quello ricco di omega-3 come sardine, acciughe e merluzzo), frutta e soprattutto  verdura, cereali integrali, legumi in abbondanza e frutta secca a guscio, ricca quest’ultima di acidi grassi poli-insaturi ad azione anti-infiammatoria e in grado di abbassare il colesterolo. Gli zuccheri raffinati e i cibi preconfezionati sono in pratica assenti. Semplici regole, quindi, che applicate con costanza non impediscono ogni tanto di lasciarsi andare ai piaceri della tavola.

Affronteremo questi e altri approfondimenti nella serata informativa: “Nutrizione e Longevità” in programma questo venerdì 25 gennaio presso l’Hotel Liberty a Riva del Garda (TN).

Dieta in menopausa: ecco come cambia l’alimentazione

La menopausa è un fenomeno fisiologico nella vita biologica della donna caratterizzato dalla scomparsa del ciclo mestruale. L’assenza per 12 mesi consecutivi delle mestruazioni indica l’ingresso in questa nuova fase della vita e la fine dell’età fertile. Generalmente tra i 45 e i 55 anni, infatti, le ovaie smettono di produrre gli ovuli e gli estrogeni.

Questo comporta un drastico cambiamento dell’equilibrio ormonale, ma non solo. L’arrivo della menopausa è preceduta da una progressiva irregolarità del ciclo mestruale e accompagnata da diversi sintomi. Molte donne accusano vampate di calore, sudorazione notturna, disturbi del sonno, calo del desiderio sessuale. Ma anche nervosismo, stress, secchezza della pelle, della mucosa vaginale e perdita del tono muscolare. Tuttavia una delle ansie più comuni riguarda la bilancia e la paura di prendere peso irreversibilmente.

A causa della riduzione degli estrogeni, infatti, il metabolismo basale rallenta e si verifica un naturale incremento della massa grassa a scapito di quella magra. È facile quindi che si registri un certo aumento di peso. Inoltre con la menopausa cambia proprio la distribuzione del grasso corporeo. Si passa cioè dalla classica “forma a pera” alla cosiddetta “forma a mela”: se in età fertile si tende accumulare il grasso in eccesso su cosce e fianchi; in menopausa, invece, il tessuto adiposo si concentra sul girovita.

Infine la diminuzione dei livelli di estrogeni, fondamentali nel metabolismo dei grassi, provocano un aumento del colesterolo cattivo (LDL) a scapito di quello buono (HDL). Questo fenomeno aumenta l’incidenza di malattie cardiovascolari. Infine, con la menopausa cresce anche il rischio di osteoporosi a causa della riduzione del calcio nelle ossa.

Pertanto per mantenere il peso forma anche in menopausa e soddisfare il fabbisogno di tutti i micro e macronutrienti necessari occorre seguire una dieta equilibrata ed uno stile di vita sano. Si raccomanda quindi di consumare cibi ricchi di calcio presente in diversi ortaggi come cicoria, radicchio verde, spinaci, nella frutta secca a guscio e nei semi oleaginosi (sesamo, lino, zucca, girasole). Per prevenire il rischio di osteoporosi è quindi utile integrare alla propria dieta la vitamina D, che facilita l’assimilazione del calcio. Inoltre non tutti sanno che anche una regolare esposizione ai raggi solari per soli 20 minuti al giorno permette all’organismo di alzare i livelli di vitamina D.

Si consiglia di ridurre il consumo di bevande alcoliche e di caffè, che, oltre a peggiorare l’insonnia, rallenta l’assorbimento del calcio. È buona norma ridurre il consumo di sale e bere almeno 2 litri di acqua al giorno per contrastare la ritenzione idrica e la pressione alta. Consumare proteine ad alto valore biologico come pesce azzurro e salmone garantisce un adeguato apporto di omega 3, che proteggono dalle malattie cardiovascolari e tengono sotto controllo i livelli del colesterolo cattivo. Non devono mancare naturalmente frutta e verdura in abbondanza, che, grazie all’elevato tenore di fibre, favoriscono la regolarità intestinale e aumentano il senso di sazietà.

Per ridurre il rischio di sviluppare diabete è bene preferire agli zuccheri raffinati i cereali integrali, ricchi in fibre e con un basso indice glicemico. Infine, sempre per evitare picchi glicemici e prevenire l’aumento di peso, è opportuno evitare il consumo di dolci, bevande gassate e zuccherine.

Si raccomanda di praticare una moderata ma regolare attività fisica, affidandosi ai consigli di un personal trainer esperto. Sarebbe ideale alternare sessioni aerobiche a sessioni anaerobiche. L’attività aerobica previene l’aumento di peso perché permette di bruciare molte calorie e ha effetti benefici sull’apparato cardiovascolare.  Ad esempio, basta una camminata a passo svelto della durata di 30-45 minuti al giorno per bruciare i grassi. Le sedute di tonificazione, invece, non solo permettono di migliorare il tono muscolare e avere un corpo più scolpito, ma favoriscono anche l’incremento della massa magra che, a sua volta, comporta un aumento del metabolismo basale. In questo modo si instaura un circolo virtuoso che permette di mantenere il peso forma e di ritrovare benessere e vitalità.

Dieta del ciclo: 28 giorni per sentirsi in forma

Gli ormoni giocano un ruolo chiave nel binomio tra alimentazione e salute, soprattutto nell’universo femminile. Quindi per mantenersi in forma è necessario comprendere esattamente come funzionano gli ormoni durante i 28 giorni del ciclo.

Con la fase mestruale, che può durare da 3 a 7 giorni, si verifica un abbassamento dei livelli ormonali sia di estrogeni sia di progesterone. L’organismo ha la possibilità di “disintossicarsi”, preparando l’utero e le ovaie ad affrontare al meglio le successive fasi del ciclo. È il momento giusto per drenare e depurarsi, mangiando abbondanti quantità di frutta e verdura fresche di stagione e assumendo un’adeguata quantità di liquidi. Bere molta acqua, tisane e centrifugati favorisce l’eliminazione delle scorie accumulate e contrasta la ritenzione idrica. Per combattere la tipica sensazione di spossatezza e affaticamento, dovuta alla perdita di ferro, può essere utile consumare una volta alla settimana della carne rossa preferibilmente biologica. Anche durante la fase mestruale è possibile praticare una regolare attività fisica. Pilates e Yoga sono tra le discipline più indicate perché permettono di allungare la muscolatura e di migliorare la respirazione.

Durante la fase estrogenica, che va dal settimo fino al 14esimo giorno, si assiste alla maturazione dei follicoli ovarici. L’innalzamento dei livelli di estrogeni regala alla donna una ritrovata bellezza e vitalità. È il momento migliore per dedicarsi ad un’attività fisica più intensa, come ad esempio allenamenti funzionali che integrano lavoro aerobico ed esercizi di tonificazione. Per fare il pieno di energie si consiglia quindi di puntare sulle proteine ad alto valore biologico contenute nel pesce, nella carne e nelle uova. Inoltre, poiché estrogeni ed insulina sono legati a doppio filo, è bene mantenere la cosiddetta “calma insulinica” evitando cibi ad alto contenuto glicemico. Meglio optare per cereali integrali ricchi di fibre ed evitare gli zuccheri raffinati, che favoriscono la formazione dei famosi cuscinetti adiposi e della pelle a buccia d’arancia. Via libera agli alimenti ricchi di antiossidanti come olio extravergine d’oliva e frutta secca, ottimo spuntino tra un pasto e l’altro.

Intorno al 14esimo giorno del ciclo avviene l’ovulazione vera e propria, ossia la rottura del follicolo e la fuoriuscita dell’uovo che è pronto per essere fecondato. Sono questi i giorni fertili del mese. In questa fase può essere utile inserire nella propria dieta le uova, che facilitano l’attività ovulatoria grazie all’elevato tenore di vitamina B. Sono anche i giorni in cui la glicemia “impazzisce” causando un incontrollabile desiderio di carboidrati, ed in particolar modo di dolci.

Dopo l’ovulazione, dal 14esimo al 28esimo giorno, inizia la fase progestinica. L’aumento del livello del progesterone e del testosterone provoca una maggior produzione di sebo che rende la pelle più grassa e può causare la comparsa di qualche brufoletto. Questa fase è spesso accompagnata da gonfiore e disturbi intestinali, come diarrea o stitichezza. Niente paura se la bilancia segna in questi giorni uno o due chili in più. È molto probabile si tratti solo di ritenzione idrica, causata proprio dal progesterone. Verdure crude come radicchio, sedano, asparagi e verdure amare come cicoria, cardi, tarassaco limitano l’accumulo dei liquidi in eccesso, per le loro proprietà drenanti. Si consiglia invece di evitare le crucifere, come i cavoli, che possono aumentare il meteorismo intestinale. Via libera a mandorle, anacardi e semi di zucca, che grazie all’elevato contenuto di magnesio contribuiscono a stabilizzare il tono dell’umore e combattere la sensazione si stanchezza. Si raccomanda anche di consumare pesce, fonte di proteine nobili e omega 3.

Negli ultimi giorni del ciclo, che precedono l’arrivo delle mestruazioni, i livelli di progesterone e di estrogeni tendono nuovamente ad abbassarsi. Questo calo spesso determina la comparsa di forti mal di testa tipici della cosiddetta sindrome premestruale.  Inoltre, la diminuzione dei livelli di serotonina (l’ormone del buonumore) e l’aumento del cortisolo (l’ormone dello stress) possono provocare repentini sbalzi d’umore e una sorta di fame nervosa. Per soddisfare il desiderio di dolce è bene concedersi un quadratino di cioccolato fondente. Le sue proprietà antiossidanti e l’elevato tenore di triptofano, che favorisce la sintesi della serotonina, aiutano a ritrovare il buonumore e a combattere lo stress. In questa fase del ciclo, si consiglia di optare per un’attività fisica prolungata ma dalla moderata intensità come una bella camminata a passo sostenuto o una leggera corsetta.

 

Tiroide: mettila a dieta!

La tiroide è una ghiandola endocrina situata nel collo. Esercita un ruolo di fondamentale importanza nel nostro organismo: regola molte funzioni vitali, dal metabolismo energetico al mantenimento della salute delle ossa, dallo sviluppo cerebrale in età evolutiva alla fertilità della donna.

Eppure i problemi legati a questa delicata ghiandola sono numerosi e sempre più diffusi, specialmente nelle donne. Le patologie più comuni sono l’ipotiroidismo e l’ipertiroidismo. Nel soggetto ipotiroideo, la ghiandola è sostanzialmente pigra e lavora poco. Chi ne soffre spesso ha difficoltà a dimagrire, tendenza al sovrappeso, ritenzione idrica, stitichezza, mani e piedi freddi. Accusa stanchezza e spossatezza cronica, ma anche alterazioni dell’umore come apatia o addirittura stati depressivi. Il paziente ipertiroideo invece ha una ghiandola che lavora troppo, più del necessario. Sono perlopiù soggetti iperattivi e naturalmente propensi al dimagrimento. Presentano spesso tachicardia, stati d’ansia e disturbi del sonno. Queste sono solo due tra le più comuni patologie che interessano la tiroide, insieme alla tiroidite di Hashimoto, alla formazione dei noduli tiroidei e al gozzo.

I sintomi del malfunzionamento della tiroide sono molto vari ed è bene non trascurarli. Sono molti gli esami a nostra disposizione per indagare lo stato di salute della tiroide: esami del sangue, ecografia tiroidea, temperatura basale, studio del microbioma intestinale e dello stato generale di stress. Solo grazie ad una valutazione globale è possibile individuare quali sono le cause dello squilibrio e ripristinare il corretto funzionamento della tiroide per ritrovare benessere, vitalità e concentrazione mentale.

Le patologie della tiroide ad oggi sono curabili farmacologicamente. Tuttavia attraverso una dieta mirata e personalizzata possiamo allenare la nostra tiroide e rieducarla ad un regolare funzionamento. Al fine di ripristinare l’equilibrio tiroideo e di consentire all’organismo di “ripararsi” da solo è necessario privilegiare gli alimenti ricchi di micronutrienti necessari per la sintesi degli ormoni tiroidei, come il selenio, lo zinco, lo iodio, la tirosina e il ferro. Si raccomanda anche il consumo di alimenti ricchi di vitamine: come la vitamina A, vitamine D e B che intervengono nel metabolismo e contrastano i processi infiammatori, che sono tra le principali cause dello squilibrio della tiroide.

Si raccomanda di portare in tavola frutta e verdura fresche di stagione, che garantiscono un buon apporto di selenio. Pesce, ricco di omega 3 e fonte di iodio, ma anche uova e carne biologica. Fibre e cereali senza glutine, come riso e grano saraceno. Non deve inoltre mancare la frutta secca, per l’elevato tenore di omega 3 e micronutrienti quali zinco e selenio che regolano l’attività della tiroide. L’olio extravergine d’oliva è un ottimo condimento per i nostri piatti e apporta grassi sani. Via libera all’uso di spezie ed erbe aromatiche, come timo, salvia e rosmarino.

L’obiettivo è quello di disintossicare l’organismo e per farlo è necessario evitare gli alimenti che favoriscono i processi infiammatori. Sono infatti del tutto sconsigliati i cereali contenenti il glutine, soprattutto il frumento, ma anche l’orzo, il kamut e la segale. Da evitare anche il latte e i suoi derivati, ma anche la soja che interferisce con il funzionamento della tiroide. Si suggerisce di limitare anche le solanacee come pomodoro, melanzane e peperoni, che irritano l’intestino, compromettendo l’attività della tiroide. Le crucifere (cavolo, verza, broccoli, cavolfiore, broccoletti) perdono gran parte della loro proprietà gozzigena, anti-tiroidea con la cottura, se ne raccomanda pertanto un uso moderato.

Nell’ottica di un approccio integrato, la combinazione tra terapia farmacologica, laddove necessaria, dieta personalizzata e integratori specifici è la sinergia vincente per ripristinare il corretto funzionamento della tiroide e ritrovare energie e benessere.

 

Cos’è la disbiosi intestinale e come prevenirla?

La disbiosi è un’alterazione della flora batterica. Solitamente il termine disbiosi è accompagnato da un aggettivo che indica la parte del corpo interessata: ad esempio disbiosi vaginale o disbiosi orale. Comunemente quando si parla esclusivamente di disbiosi si indica un’alterazione sia quantitativa sia qualitativa della flora batterica intestinale. Nel nostro intestino, soprattutto in quello crasso, si concentrano un’infinita quantità di batteri buoni, di batteri cattivi e di altri patogeni come virus e miceti. Come si è detto negli articoli precedenti, è importante preservare il benessere della flora batterica intestinale che svolge un’azione difensiva in grado di proteggere l’organismo dall’attacco dei batteri patogeni. L’alterazione di questo delicato equilibrio provoca l’aumento dei batteri cattivi, pericolosi per il nostro organismo.

Sono diverse le cause che possono provocare la disbiosi intestinale. Alla base vi è spesso un’alimentazione scorretta poiché la flora batterica intestinale si nutre soprattutto di residui di cibo non assorbiti. L’eccessivo consumo di zuccheri, alcool e grassi a fronte di un insufficiente apporto di fibre come frutta e verdura danneggia il microbiota intestinale. Anche l’assunzione di farmaci come antibiotici (non solo assunti su base prescrittiva ma soprattutto derivanti dalla zootecnia) e lassativi contribuisce ad impoverire il microbiota. Solitamente somministrate per debellare le infezioni causate dai batteri, le terapie antibiotiche distruggono insieme ai batteri “cattivi” anche una parte di quelli “buoni”.
Le possibili cause della disbiosi vanno anche ricercate nello stile di vita. Ritmi frenetici, stress e alterazione del ritmo sonno-veglia determinano l’aumento del cortisolo, favorendo la diminuzione dei batteri buoni e l’aumento di quelli patogeni. Inoltre poiché l’intestino è il nostro secondo cervello, risente anche di eventuali stati depressivi o di ansia.

La disbiosi si manifesta attraverso diversi sintomi. I più comuni colpiscono l’apparato gastrointestinale: gonfiore addominale, meteorismo dopo i pasti, flatulenza, nausea, vomito e stitichezza alternata a diarrea. Soprattutto nelle donne la disbiosi intestinale provoca spesso infezioni genitali ricorrenti come candida e vaginiti. Naturalmente quelli elencati sono solo alcuni dei sintomi più frequenti, ma la disbiosi può causare anche altri disturbi come alterazione del sonno, stanchezza e irritabilità.

Uno degli strumenti più efficaci e semplici per diagnosticare la disbiosi è l’analisi delle feci con un test che mira ad analizzare il microbioma intestinale. Dopo essersi accertati che si tratta di disbiosi è importante ripristinare il normale equilibrio della flora batterica. In prima istanza occorre quindi limitare i fattori aggravanti come i farmaci antibiotici e gli alimenti sospetti. Alle volte però i sintomi della disbiosi non sono riferibili ad un solo alimento, ma a determinate famiglie alimentari: come nel caso della disbiosi putrefattiva e fermentativa. La disbiosi putrefattiva è dovuta soprattutto ad un’alimentazione ricca di grassi animali e carni, ma povera di fibre e può essere aggravata dal concomitante uso di antibiotici. Chi ne soffre lamenta per lo più sintomi di stitichezza e meteorismo. In questo caso si raccomanda l’assunzione di fermenti lattici probiotici come bifidobatteri o integratori a base di fibre, controindicati invece in caso di disbiosi fermentativa. Quest’ultima è causata soprattutto da una dieta ricca di zuccheri e di carboidrati complessi, da cui traggono nutrimento i batteri cattivi che ne sono responsabili. In questo caso, occorre indagare sull’eventuale presenza di intolleranze alimentari e seguire una dieta specifica povera di amidi e zuccheri semplici.

Attraverso uno stile di vita sano e alcuni piccoli accorgimenti è possibile prevenire la disbiosi: escludere gli alimenti confezionati e gli zuccheri raffinati, limitare il consumo di alcool e l’assunzione di farmaci sono i primi passi per prendersi cura del proprio intestino.

L’alimentazione della donna nelle varie fasi della vita

Una corretta dieta alimentare ed uno stile di vita sano possono sicuramente contribuire a migliorare il benessere delle donne nel corso della loro vita. Per questo diventa importante approfondire la conoscenza di quei fenomeni biologici e patologici che possono influire sullo stato nutrizionale della donna durante le diverse fasi dell’esistenza e dello sviluppo psico-fisico.

La donna, con la sua complessa fisiologia, ancor più dinamica e variabile di quella dell’uomo, è particolarmente soggetta al rischio di squilibri nutrizionali. Ogni stagione della vita diventa una vera e propria sfida da affrontare: durante l’adolescenza è importante favorire e stimolare i processi di crescita; in gravidanza occorre assicurare il giusto fabbisogno energetico; in menopausa, invece, è necessario bilanciare la diminuzione del metabolismo.
Metabolismo e sistema ormonale ovarico, infatti, sono interdipendenti e per mantenersi in forma e in salute è importante adattare la propria alimentazione. Se ferro, selenio, calcio e acidi grassi omega 3 sono indispensabili per le donne in ogni fase della vita, altri nutrienti diventano fondamentali soprattutto in determinati periodi.

Queste tematiche innovative verranno affrontate nei prossimi articoli, accompagnate da raccomandazioni nutrizionali e consigli alimentari specifici per le donne. Avvalendosi del test di nutrigenetica e dello studio del microbioma intestinale, è possibile infatti elaborare piani dietetici personalizzati a seconda del genere e delle fasi di maturità dell’individuo. Capire quali possano essere i fattori su cui è possibile intervenire, come ad esempio l’alimentazione, è di fondamentale importanza, non solo per prevenire importanti patologie, ma anche per invecchiare meglio e vivere più a lungo.

1 2 3